L’autocritica (o dell’Amante Russia)

Ci sono amori a tempo, con scadenza. Sebbene abbiano resistito per decenni. E che, presto o tardi, vengono sottoposti alla revisione critica. E saper fare ammenda, questa sì, é una delle cento cose belle che si imparano nella vita.

Qui intendo declinare il mio rapporto travagliato con la Russia in 5 finestre, siano Fascinazione, Innamoramento, Distacco, Stupore & Disgusto. Seguitemi se vi garba.

FASCINAZIONE

Correva l’anno 1967. Nella provincia, una Modena in crescita, lo Zecchino d’oro riscuoteva successo, forse perché allestito nella vicina Bologna. Una gara canora dedicata ai bambini ugole d’oro, sotto l’egida dell’Antoniano (per i giovanissimi e gli ignoranti, si trattava di un orfanotrofio illuminato). Daniele Ventre forgiava amorosamente le intonazioni acerbe per la competizione. Il mago Tortorella-Zurlì disponeva i piccoli inermi; le nostre famiglie ne ammiravano la grazia, distrattamente ma con rispetto. Ed in quell’anno un biondino paffuto era destinato ad emergere.

Cantava: “Nella steppa sconfinata, a quaranta sotto zero”

E ancora, con ritornello esaltante:

“ma Popoff non si arrende e dopo un pò…scivolando sulla pancia, fila verso il fiume Don”; ed altre mirabolanti abilità di sopravvivenza.

Vinse proprio lui, il piccolo guerriero delle Russie immaginarie, sconfiggendo “il cane capellone”, “un milione di anni fa” ed altre nenie. 

E allora? 

Sappiate che il mio maestro della terza elementare mi aveva preso sotto l’ala (o forse era semplicemente innamorato di mia madre). Sta di fatto che, eclettico assertore di metodologie innovative, aveva ammirato a tal punto la mia versione di Popoff, proposta in un teatrino di classe, che prese ad inviarmi nelle classi altrui.

Cosa intendo?

Che il docente Eudosio mi intimava, con voce baritonale: 

“Sandro, in onore della tua bravura, vai a fare Popoff”

Signor maestro, ma come?

“Sì, senza indugio. E comincia dal maestro Zini, qui nella terza a fianco”. 

Ed al mio volto ancora perplesso, insisteva pacifico: 

“Dì pure che ti manda il maestro Ortolani, che ti presenti per esibire la tua versione della canzone vincitrice dello Zecchino…”

Tutto chiaro?

La comica sta nel fatto che io non rammento stupore o proteste vibrate. Anzi, dicevano maestre e mastri operosi: ben venga il giovane artista!

Eccomi dunque all’opera, che canto e soprattutto danzo, con volteggi abbozzati stile un rudimentale Kazachov. E raccolgo applauso finale. Senza subire sberleffi od atti di bullismo.

Tanto per dire la mia prima esperienza di fascinazione per le assonanze russe.

INNAMORAMENTO

Dal tempo infantile della fascinazione, a quello dell’innamoramento, nella fresca adolescenza, il passo fu breve. Complice l’amore per le letture, la fame di storia. Le ricerche intessute nel corso del quinto ginnasio. In primis, la teoria e messa in opera della Rivoluzione russa. La rivoluzione quella vera!

Il testo che prediligevo era una riedizione commentata del manoscritto fiume di Lev Trockj…divorato e riletto! Immaginando scene in bianco e nero di quell’ottobre del 1917, i soldati delle guarnigioni che cedono e familiarizzano con la folle imbestialita. E via dicendo. 

Ancora mi domando come, stregato dall’amore, potessi non riflettere a sufficienza sulla orrenda fine dello stesso Trockj, l’ispiratore della quarta Internazionale? Cosa fu utilizzata, una accetta, una scure o simile strumento, che arrivò a massacrarlo in Messico, con sicari staliniani inviati alla bisogna? E mi chiedo ora con il senno di poi, cosa ci accecava? Era incompleta la narrazione mediatica del tempo? O non esisteva affatto? Tant’è, l’amore è un poco cieco, si sa. Da non cogliere in nuce l’intrinseca violenza sovietica.…Ma amen

E confesso anche le letture di Rinascita sullo sferragliante trenino di lì a poco, quello che collegava Ostia (nostra prima ubicazione nel trasferimento nella capitale) al liceo classico dell’Eur. Ricordo qualche articolo dell’ingegnere filosofo Vacca. O gli editoriali di Alfredo Reichlin, che dirigeva quella rivista, organo ufficiale del partito comunista. Dalla plasticità delle mie rimembranze spunta fuori una dissertazione che tanto mi inebriò: suonava così: che la quintessenza del materialismo storico poi dialettico si traduceva, a sorpresa, in una nuova declinazione della propria libertà. Un arricchimento, che conduceva all’ homo novus. Boh! Sulla pensilina alzavo gli occhi d’attorno, già presago di una elevazione del mio spirito. 

Eh, sì, poi diciamola tutta, qualche brivido per l’inno sovietico lo si provava. Ad onore del vero, anche gli atlantisti di ieri e di oggi, i più coerenti occidentali senza macchia potranno ammetterlo, che quell’inno è trascinante! 

Ma basta, basta con la musica epica! Ma che ci volete fare, ero cotto.

DISTACCO

Questa è la mia AUTOCRITICA UFFICIALE; e che non risuoni la memoria stridula, evitiamo paragoni con le autocritiche estorte dal regime sovietico; quella rappresenta una delle vergogne più macabre del Novecento; una pagina miserabile. Le Grandi Purghe. Quei processi farsa, nei quali i massimi dirigenti del partito comunista dell’URSS, caduti in disgrazia, venivano destinati a pubblico ludibrio se non a morte. Ci furono confessioni pubbliche e in apparenza spontanee (ove dichiaravano di aver complottato per assassinare, di aver agito contro lo stato, di desiderare sotto sotto la dissoluzione del socialismo!). Wikipedia in persona, in sede di interpretazione dei plausibili meccanismi psicologici che condussero tanti intellettuali o funzionari di spessore a denigrare la propria vita e personalità, suggerisce alcune ipotesi. Tra queste, appaiono credibili sia le pressioni psicologiche subite sia le franche minacce sui famigliari (un cinico ma inequivocabile: “compagno parla e li faremo sopravvivere”). In alternativa, che l’ideologia fosse talmente metabolizzata nella carne fino ad avvilupparne la mente, e che dichiarare colpa e fallimento, al cospetto di giudici per definizione rispettabili, equivalesse ad un punto di onore, ad un sacrifico supremo dell’IO…

Ma torniamo al sottoscritto. Le prime avvisaglie di scricchiolii del mio amore? I sentimenti di affetto pro-sovietico, già declinanti nella prima età adulta, dovevano subire un duro colpo nei giorni dell’invasione dell’Afghanistan. Insolente, imperialista. Un attacco, che lasciava interdetti, noi borghesi marxisti immaginari.

O forse ero semplicemente stanco, di frequentare ambienti PCI. Fu il 1979? O il 1980? Ventenne, con Medicina avviata. Pavlov e Luria che rimanevano due fari della conoscenza del principio di stimolo-risposta e del lobo frontale. Ma, anche grazie a loro, io viravo verso la neurofisiologia, i meccanismi di azione dei farmaci, le spiegazioni razionali. Che c’entrava più, con me, la politica? Soprattutto, la passione per i dati raccolti con metodo scientifico e, altresì, la loro falsificabilità (direbbe Popper); e con essi, il vizio salubre che iniziava a pervadermi, il dono del dubbio. L’amore nuovo per la ricerca della verità, meglio se ignota, certamente non precostituita. 

Eccomi, in definitiva, sotto processo, in una sorta di mini-comitato centrale. Ove spiego le mie dimissioni dall’attività di quelle organizzazioni. Con garanti che desiderano contestare o dissuadere. 

Ma invano. 

Sia lieve la terra a quei discepoli della unità delle masse che furono testimoni del mio revisionismo.

L’amore per i russofoni, intanto, entrava in stand-by.

STUPORE

Lo stupore per la dissoluzione perdurante. Così definirei gli anni che veicolano il gigantesco paese governato da Mosca verso un abbozzo di democrazia, poi in un percorso schizoide. Eltsin & Rutskoi apparenti paladini di inedite istituzioni liberali, che proteggono Gorbaciov; poi sodali al potere, qualsivoglia; infine, Eltsin che bombardava il suo stesso Parlamento, la Casa Bianca di Mosca. Ricordate?

Oh sì, che successione pazzesca di eventi. Spesso raccontati con dettagli scarsi, o reinterpretati da lontano, con giornalisti che faticano a seguire e cogliere appieno le carambole di quelle genti così disavvezze alla dialettica democratica.

Ricordo un piccolo televisore, in una camera spaziosa di montagna. Era la pensione Evaldo, un trestelle simpatico in Arabba. Condiviso con mia moglie. Non mi riusciva di dormire. Continuavano a sfornare immagini bianco nero, a tratti sfocate, dallo schermo; all’improvviso (così i ricordi trasformano gli eventi in epigrammi), il grosso Boris Eltsin su un carrarmato, che incita la folla. Affinché scongiuri il putsch controriformista ordito dalla vecchia guardia. E presto, nella movida popolare, i tardo-comunisti devono abortire il tentativo di quell’agosto. (Va poi a sapere se il nostro pingue presidente doveva soccombere sotto ricatto, pochi anni dopo, allo scattante Putin).

Straniamento dopo straniamento, ci vollero settimane, non lustri, affinché le tante repubbliche dell’antica madre sovietica, figliassero in cerca di una sorta di autonomia. LeUcraina, Bielorussia, Moldavia, Azerbaigian, Kirghizistan, Uzbekistan, Tagikistan, Armenia, Turkmenistan, Kazakistan.

Che fine aveva fatto la mia amata di un tempo? Potevo mai abbracciare una intera Federazione? 

DISGUSTO

L’odierna acrimonia. Un sentimento di schifo. Che riemerge come un tremore, una menomazione fisica che ricorre; e così riguadagna la superficie, nonostante l’ambiguità delle circostanze, quando la nostalgia del passato tenterebbe di risollevarsi. Difficile oscurare le vecchie amanti! Una vocina maliziosa tenta infatti di insinuarsi e dire “ma attento, la ragione non sta mai da una parte sola!”. 

Eppure, quel disgusto per l’aggressore è dominante. 

Percepito già anni or sono, quando frotte di vocianti russi occupavano i rifugi alpini, per esempio dalle parti del Brenta. Fosse la capanna Scoiattolo o i ristoranti sul Groste’: le loro pinte di alcol, la rumorosità, omoni grossolani senza elementare rispetto dell’altro da sé. Così si presentavano. Non basta dire burini; quali dei nostri valligiani sbatterebbe alcolici sul tavolo, emetterebbe epiteti bizzarri e gridati, muovendosi con la padronanza arrogante di mammut sopravvissuti?

E ripensando a quelle vicissitudini pregresse della casa Russia, con quei cambi di sistema così drammatici, che già attestavano la brutalità quasi congenita, vi assistemmo con lo stupore e l’accidia presuntuosa di occidentali, convinti che la nostra logica prevalga sempre. Mentre l’equilibrio, il contrappeso dei poteri, le voci discordanti sono niente affatto regola globale. Non crescono per incanto fuor di confine. Semmai rappresentano una conquista. E fragile in ogni caso.

Ma sto divagando. 

E quando venne annessa la Crimea? se non sbaglio stavo sempre sulle Alpi, nella graziosa Val Badia (forse non il più solare esempio di geo-democrazia, tutta coerenza quasi stucchevole per fiori e bicilette!). Tant’è: in pochi giorni, Crimea occupata ed acquisita: chi si arrabbiò palesemente? Quale vibrata protesta superò la settimana? 

Ma vogliamo dirla tutta, chi mai ha approfondito lo status economico di quelle popolazioni autoctone ma incrociate, che abitano tristemente le immense pianure continentali, ad ovest e ad est del Diepr, e che vendono (o vendevano) a prezzi irrisori grano carbone e quant’altro la nostra pigrizia abbia smesso di produrre. Dove stava quel Giardino dei Ciliegi? Sotto quale bandiera? Quale catasto lo amministrava? Non sarebbe opportuno una pax qualsivoglia? Ohibò, stai attento Sandrino, che sotto sotto un animus alternativo, una fiammella anti-occidentale ti anima ancora?

L’amante Russia conosce le tue debolezze.

Non c’è problema, fidatevi. Il disgusto per il bestione russo è immanente, nonostante la consapevolezza che una intera classe dirigente istruita vi dimora.

Fino a pensare che sì, dispiace perdere scienziati o studenti per strada; ma prezzo da pagare. Quando nella primavera recente, alcuni Rettori si rifiutavano di mantenere i prezzi calmierati dell’Erasmus, fino ad espellere giovani discenti, ci ritrovammo con loro, concordi. Perché chi rompe quel non scritto agreement della convivenza, ha scelto di venire espulso dalle nostre consuetudini.

Intanto, moscoviti, sommessamente vi giungano i sensi del nostro disprezzo. 

E dire che questo ragazzo vi ha amato davvero! 

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