Questa giovane architetta torna a trovarci, con una scenetta famigliare. Sul divano, con il suo nuovo fidanzato, a quanto pare, discutono di massimi sistemi. Del piacere che gli oggetti antichi procurano.
Perché è crollata la felicità? Di questi tempi Covid? Si poneva il quesito un artista seducente, nel programma di Formigli, poche sere orsono.
Per la pandemia stessa, iniziava a recitare quello. E la conseguente differenza dei costumi; perché non riconosciamo l’altro da noi stessi…
Il mio nuovo compagno ha interloquito cosi “ma va là!, e perché non un’improvvisa defaillance dei neuroni a specchio?”.
Non lo seguivo del tutto questo docente. Sappiate che mi sono messa con un vecchietto, 60 suonati anni, un neuro-cognitivista di Ferrara. Si chiama Pietro.
Intanto, l’uomo di teatro, dal teleschermo, proseguiva: “E, oltre a ciò, non si riesce a fare progetti! E’ l’assenza di prospettive che ci distrugge”.
Pietro, quasi iroso, si è issato dal divano, con i suoi 187 centimetri inguainati in una vestaglia di seta, motivo cachemere: “Che superficialità!”, esclama.
“Vedi”, ha proseguito pomposo; “io sostengo una tesi opposta; che, se è vero che l’indice della felicità nel mondo è caduto così in basso, si deve all’enfasi sulla globalizzazione, al grido mediatico, all’eccesso di lamento per l’arido presente. E che se ciascuno conservasse un pudico amore per l’antico, cioè per la memoria e per conservazione del vintage, ne sarebbe risparmiato. Il crollo della gioia consegue alla destrutturazione del passato! Non alla mancanza di futuro!”
Alla mia espressione annoiata, Pietro incalza.
“Oggi, ad esempio, una figlia 50enne che si adopera oltre ogni prevedibile energia, a mantenere viva la fiamma del sorriso in una madre compromessa da più patologie, mi mostrava appunti calendarizzati. Sulle funzioni fisiologiche della malata. Sì, quelle funzioni, fatta-quando fatta-quanta. Ma il punto stava nell’oggetto. Quel calendario banale ma splendido. Sai cosa intendo? Quei calendaroni di una volta: spesso editi da carrozzieri o tappezzieri o macellai in omaggio alla clientela fidata. Le cifre vi compaiono grosse, in un semi-corsivo. I colori netti bleu o varianti di marrone. Comprensibili la scansione delle settimane; ampio lo spazio di scrittura, che non richiede righello. Un calendario vintage, quello dove nonno ribadiva le esigenze quotidiane, altrimenti dimenticate”.
Il mio amante-zio non si arresta qui. Diventa un fiume in piena:
“Poc’anzi rientravo in casa, e ho buttato lo sguardo nella nicchia che ospita i miei romanzi. A proposito, grazie. Considera cosa vorrei fare, ad imitazione di quando stavo a Parma; vorrei disporvi anche la mia micro-collezione di sveglie meccaniche. In larga misura appartenute ad un paziente, che ne andava fiero. Oggetti curiosi, raccolti in mercatini balcanici od ungheresi. Alcune barocche, altre francamente kitsch; o introvabili.
Per non parlarti, Beatrice mia, di quanto accaduto ieri. Sul comodino di una signora con minor stroke. Isolata dall’era del Sars2, che penalizza le visite, lo sai. Faticava a comunicare con la figlia per disturbi di linguaggio e prassie imperfette della mano destra. Che fare? Come alleviare la solitudine? Miracolo; sul comodino in formica appare una radiolina a transistor…”.
E mentre le sistemavo la stazione in FM, è riemersa, d’incanto, la magia di una radiolina che reggevo nel mio letto di bambino 10enne. Una febbre devastante sofferta 50 anni fa. Influenza sì, ma pressochè un principio di encefalite.
E allora? Dico io stizzita da questo effluvio di aneddoti.
Lui allarga le braccia e dichiara stentoreo “Tutto il Belice minuto per minuto”; seguivo ogni collegamento. Straziante, ma per certi versi affascinante. Che compagnia. Anche il bollettino per i naviganti, guai perderlo. Chiudeva la giornata mentre io vagheggiavo in un principio di delirio, sperando che la febbre scendesse sotto i 40°. Quella voce così assurdamente grave. E quelle pause, che un piroscafo ci affondava!”
Mi allungo verso la cucina attrezzata. Mi sparo un liquore d’erbe.
Pietro declama: “Io credo, no sento. Sento che quella fila di oggetti vintage scandisce la nostra vita. E che quando il corpo li soppesa, li interiorizza, li fa propri, con un processo di embodiment, acquisirà una tutela, una protezione contro qualunque senso di privazione. Guai a coloro che non ne dispongono!”
Sarà…, replico svanendo, per riapparire con il tablet.
“Ecco i tuoi calendari vintage, su Amazon vanno alla grande. Sono noti come gli “olandesi classici”, personalizzabili, da 0,18 cent…”
E le sveglie? Tiè, se scrivi “sveglia vintage” richiama oltre 50000 prodotti, con classici tipo le meccaniche placate in oro…
Lo lascio che esamina languido la gamma delle radioline antiche, pagina per pagina, dai 20 euro a salire.
Vedi, vorrei dirgli, ormai tutto è disponibile. Ora, in un adesso che rende inutile accumulo e rimembranze.
Che abbia ragione l’artista televisivo dunque? Nel senso che l’appiattimento temporale è sinonimo di resa. Tanto le biografie sono quasi inutili, da quando il mercato digitale ce le fa ricreare a piacimento.
Conviene solo fuggire in avanti, gli sussurro (mentre medito di lasciarlo).
Perché la felicità mi aspetterà dietro l’angolo.