HO VISTO ANCHE PARKINSON FELICI

Ricordate la collega? Che si firma Oliviera70; e tiene, nel cassetto, piccoli ritratti di pazienti (ci ha donato quello scultore pittoresco). Qui ne evoca altri e li accomuna sotto un titolo seduttivo. I desideri dei malati sono sempre attuali. Le loro limitazioni non mortificano il piacere del viaggio

Tra i pazienti recenti, nella mia consueta attività di neurologo territoriale, ci sta questo sessantino che evoca canzoni e cantautori a me ignoti. F. era seguace di tale Claudio Lolli; e dell’album “ho visto anche degli zingari felici”. F. ha un paio di bed & breakfast dalle parti di Olevano, dice che lui da ragazzo (quando lei dottoressa gattonava!) suonava chitarra e frequentava collettivi politici. La reminiscenza lo emoziona, perché evoca una band che dirigeva. Se ne andavano in giro a far serate, “fin su, in Umbria alta, dalle parti di Spello”..

“Lo sa che lo scorso anno ce stava l’intenzione di ripartire? Solo che il batterista non ha retto, e la mia voce da Parkinson se ne calava…senza contare che mi stancavo troppo e cominciavo a bloccarmi senza preavviso”.

Eppur si muovono, dico a volte al mio compagno. Che ha questa idea balorda, dei parkinsoniani condannati ad una resa immobile. Ad un esilio casalingo.

No, no, vogliamo scherzare?

Il mio mito è un signore sardo, già infaticabile animatore del CAI di Abruzzo, e abitué della Maiella. Che, consapevole del rapido peggioramento della marcia, trascorreva ore ed ore in stretching e sue misteriose serie di esercizi. Per aggredire, nel quinto anno di malattia, la più epica delle avventure; il cammino galiziano per Santiago di Compostela. “Senza un giorno di taxi”, precisava, “mica siamo intellettualoni, noi”. Credo si riferisse ad un volume di Oddifreddi e Valzania.

Anche il paziente, G., ci ha pubblicato un libro. Con prefazione di un mio collega professore di Neurologia a Tor Vergata.

E guai dimenticare K. Una paziente complicatissima, figlia di culture diverse (italo-meridionale per parte di padre, californiana la genia della madre). Una insaziabile curiosità la divorava, nonostante la patologia.

Conservo ancora una sua mail:

Sto pensando seriamente, con M., di fare una scappata in Sud America nel mese di gennaio, e mi chiedevo se – con i nostri problemi – potessimo avventurarci nel deserto di Atacama, in Cile, a un’altitudine anche di 4000 metri per visitare i loro enormi osservatori astronomici. Che ne pensa?

Sapevo poi che avrebbe affrontato una chirurgia penosa; che si era trasferita a Roma, che le riusciva complicato raggiungermi.

Eppure, nel gennaio di due anni dopo, giunse una pregevole cartolina. Dominata da colori rugginosi. Recava in calce l’eloquente saluto per un very HAPPY NEW YEAR.

La cartolina descriveva Asombroso espectaculo de cerros con inusitadas formas y colores.  Se trata del famoso valle de la Luna; recava carta internacional prioritaria 560 pesos. E, ovviamente, il timbro postale dalla sucursal san pedro de Atacama.

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